L’Europa in scena con il teatro multilingue

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Uno spettro in Europa

Un teatro multilingue si aggira per l’Europa ed è meno minaccioso di uno spettro. Il progetto  nasce da un’idea di Francesco Baj e Flavio Marigliani (autori, registi e talvolta attori) nel 2020. Nonostante le chiusure degli spazi teatrali questo concetto di spettacolo e testo in inglese, italiano, francese e spagnolo, si è declinato nella trilogia #Europa21 con tre cortometraggi girati su un palco senza spettatori.

Al cuore delle pièces c’è l’Europa attuale con le sue questioni politiche, i retaggi del passato e il multilinguismo di fatto. Goodbye Papà esplora il nucleo allargato di una famiglia in cui il padre inglese muore in Egitto e lascia metà del suo corpo al figlio in Italia e l’altra metà alla figlia in Spagna (o in Francia per l’altra versione del testo) i quali non si sono mai incontrati. Mrs Green, già selezionato al Festival Clapham e Watford Fringe di Londra (sarà al Teatro Sophia di Roma l’11 e 12 dicembre), affonda nella Brexit giocando sugli equivoci di una valigia trovata in un appartamento.

Da Marsiglia al mondo intero

He perdido a Marseille, il lavoro più sentito e maturo della trilogia, torna alla Guerra Civile Spagnola, messo in scena il 2 aprile 1939. La protagonista è una rifugiata spagnola in Francia che al Vieux Port di Marsiglia ha smarrito il suo gatto Marseille. In questa sua ricerca (qualcuno ricorda quella di Chloe nel film di Klapisch del 1996?) incontra un militante comunista e una ragazza italiana. Anche qui la carne al fuoco è molta ma con tutti i sapori in equilibrio: il nostro rapporto con la storia, la condizione del rifugiato, l’impegno politico e la lotta per la sopravvivenza. Forse poche volte si era visto un corpus teatrale così versatile nel rapporto con le lingue utilizzate, con attori talvolta madrelingua talvolta no.

Oltre la lingua

Lo spettatore va oltre l’idea di lingua materna e non ha più importanza la sua ossessione nel capire ogni singola parola. Gli autori lavorano sulla lingua viva, non astratta, nella nostra dimensione babelica immersiva che la pandemia ha solo parzialmente interrotto. Esperienza e significati più che vocabolari e significanti; le lingue sono coerenti con le scelte registiche e non viene meno la peculiarità di senso di ogni idioma: una parola ha un peso specifico diverso in base alla sua provenienza, gli autori lo sanno e non si nascondono dietro un melting pot di facciata, dove basta il chiosco etnico sotto casa per definirsi nel concreto una società multiculturale. Infine, il teatro, percepito anche come spazio vuoto di cui riappropriarsi al di là del teatro stesso.

Pubblicato per la rubrica Moscow Mule-Alias/Il Manifesto 

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